UNA PASSEGGIATA TRA GLI SPLENDIDI MONUMENTI DEL V E DEL VI SECOLO!
Ravenna è la capitale del mosaico e ci sono ben otto edifici dichiarati dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.
L’arte del mosaico ha trovato a Ravenna la sua più ampia espressione. Ravenna con i suoi mosaici, unici al mondo, rappresenta una sorta di libro illustrato che racconta la gloria degli imperatori, ma anche la spiritualità del Vangelo.
Scopri i 2 PASS esclusivi che ti permetteranno di visitare i 5 luoghi patrimonio UNESCO di rara bellezza e di profonda spiritualità.
UNA PASSEGGIATA TRA GLI SPLENDIDI MONUMENTI DEL V E DEL VI SECOLO!
I monumenti diocesani sono f... leggi di più
Scopri i 2 PASS esclusivi che ti permetteranno di visitare i 5 luoghi patrimonio UNESCO di rara bellezza e di profonda spiritualità.
UNA PASSEGGIATA TRA GLI SPLENDIDI MONUMENTI DEL V E DEL VI SECOLO!
I monumenti diocesani sono facilmente raggiungibili con una gradevole passeggiata in centro storico: per coprire tutto l’itinerario dei 5 siti sono sufficienti 3 ore. Se hai più tempo a disposizione il nostro biglietto vale sette giorni e puoi scegliere di visitare i cinque monumenti in giornate diverse prenotando gli orari di visita secondo le tue preferenze.
nascondiPochi passi in centro storico per scoprire 5 luoghi patrimonio UNESCO di rara bellezza e di profonda spiritualità. Giustiniano e Teodora ti accolgono nell’oro maestoso della Basilica di San Vitale; prova una forte emozione entrando nel piccolo Mausoleo di Galla Placidia dove le tessere blu cobalto abbracciano una cupola di stelle dorate. Accompagna le Vergini e i Martiri di Sant’Apollinare Nuovo nel loro cammino e stupisciti guardando il movimento elegante degli Apostoli nel Battistero Neoniano, quasi una danza gioiosa attorno a Gesù battezzato nel Giordano. Scopri i raffinati dettagli scolpiti nell’avorio della Cattedra di Massimiano ed ammira la luce riflettersi nell’oro e irradiarsi nella Cappella di Sant’Andrea, gemme preziose custodite nel Museo Arcivescovile.
Itinerario completo € 14,50:
* Per l’ingresso al Mausoleo di Galla Placidia e al Battistero Neoniano è prevista la prenotazione anticipata obbligatoria concordando il giorno e l’orario di accesso.
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Itinerario sermplice € 12,50:
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Orari dei monumenti 2023 | Dal 4 marzo 2023 al 1° novembre 2023 | Dal 2 novembre 2023 all'8 marzo 2024 |
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Basilica di San Vitale Basilica di Sant'Apollinare Nuovo Museo Arcivescovile e Cappella di Sant'Andrea |
Tutti i giorni 9.00-19.00 ultimo ingresso 18.30 |
Tutti i giorni 10.00-17.00 ultimo ingresso 16.30 |
Battistero Neoniano Mausoleo di Galla Placidia |
Tutti i giorni 9.00-19.00 ultimo ingresso 18.45 |
Tutti i giorni 10.00-17.00 ultimo ingresso 16.45 |
Biglietterie nei monumenti | Tutti i giorni 9.00-18.45 |
Tutti i giorni 10.00-16.45 |
Mostra: Dante e i mosaici | Tutti i giorni 10.00-16.30 ultimo ingresso 16.00 |
Tutti i giorni 10.00-16.30 ultimo ingresso 16.00 |
I monumenti diocesani sono facilmente raggiungibili con una gradevole passeggiata in centro storico. Per coprire tutto l’itinerario dei 5 siti sono sufficienti 3 ore e grazie alla prenotazione online degli orari di visita, avrai modo di ottimizzare al massimo il tuo tempo evitando file ed assembramenti.
Arrivi in stazione con treno o autobus?
Ti consigliamo di programmare come prima tappa, ad appena 5 minuti dalla stazione, la Basilica di S. Apollinare Nuovo (tempo di visita 25 minuti). Qui troverai i servizi ed un ricco book shop. La seconda tappa si raggiunge con uno spostamento a piedi verso la zona Duomo, raggiungibile in meno di 15 minuti. Qui, accanto alla Cattedrale, troverai il Battistero Neoniano (visita 5 minuti) e il Museo Arcivescovile (25 minuti per la visita). Anche in questo complesso sono a tua disposizione un fornito book shop e i servizi. Proseguendo la passeggiata, sempre in pieno centro storico, in circa 15 minuti raggiungerai il complesso della Basilica San Vitale (tempo di visita 25 minuti) e Mausoleo di Galla Placidia (tempo di visita 5 minuti). Il nostro personale sarà lieto di aiutarti e consigliarti per il tuo shopping presso il Book & Shop di Via Argentario 22.
Arrivi in auto e hai parcheggiato in zona San Vitale?
Prenota iniziando subito la tua visita alla Basilica di San Vitale (25 minuti) e al Mausoleo di Galla Placidia (5 minuti); lo shop di Via Argentario 22 è a tua disposizione con una vasta scelta di libri, guide ed oggettistica. Passeggiando per circa un quarto d’ora raggiungi la Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, alla quale puoi dedicare 25 minuti di visita. Per un momento di pausa qui troverai i servizi e lo shop per acquisti di qualità. Passando attraverso la zona dantesca, in un breve percorso di circa 15 minuti, arriverai alla zona monumentale della Cattedrale. Nel giardino adiacente potrai visitare in 5 minuti il Battistero Neoniano e dedicherai 25 minuti al Museo Arcivescovile. In questo complesso saranno disponibili le toilettes ed un ricco punto vendita.
La tua vacanza è in camper e usufruisci dell’ottimo parcheggio in Piazza della Resistenza?
Prenota le tue visite iniziando dal vicinissimo complesso monumentale del Duomo, il Battistero Neoniano (5 minuti) e il Museo Arcivescovile (visitabile in 25 minuti) saranno un primo assaggio di mosaici ravennati! I servizi e un fornito punto vendita sono a tua completa disposizione. Per scoprire gli altri tesori dirigiti, impiegando circa 15 minuti a piedi, verso Sant’Apollinare Nuovo (25 minuti di visita). Rapìto dai mosaici desideri approfondire o portare a casa un ricordo? Rivolgiti al nostro book shop! Nello stesso complesso troverai anche i servizi. Un veloce tragitto pedonale di altri 15 minuti ti porterà ai due gioielli della città, il Mausoleo di Galla Placidia (5 minuti di visita) e la Basilica di San Vitale (25 minuti). In via Argentario 22 troverai il nostro Book & Shop con tanti articoli accattivanti per i tuoi acquisti!
Se vi trovate a passeggiare per la via Cavour non dimenticate di voltare per la via Argentario, in direzione di San Vitale: attenzione, siete di fronte ad uno dei più celebrati monumenti bizantini al mondo! Nel percorrere il vialetto che conduce all’entrata, il vostro cuore potrebbe cominciare a battere un po’ più veloce, il respiro un po’ a mancare e le mani un po’ a sudare: tutto normale. San Vitale non si visita, si esperisce: San Vitale si respira; San Vitale si vede; San Vitale si ascolta. San Vitale ti inebria, ti avvolge e ti culla.
Voluta dal vescovo Ecclesio al ritorno da un viaggio a Costantinopoli nel 525 e finanziata da Giuliano Argentario, la basilica fu edificata su un sacello del V secolo (intitolato a san Vitale) e consacrata nel 547 dal vescovo Massimiano, committente delle decorazioni interne. La decorazione musiva si concentra nella zona del presbiterio e nel coro, a cui si accede attraverso un alto arco trionfale, all’interno del quale si trovano clipei musivi del Redentore (alla sommità), dei dodici Apostoli e dei santi Gervasio e Protasio (presunti figli di san Vitale). Attorno alla mensa, lungo le pareti, si fronteggiano scene veterotestamentarie simbolicamente evocanti il pane-corpo di Cristo e il tema del sacrificio: da un lato, l’ospitalità data da Abramo ai tre angeli (seduti alla tavola sotto la grande quercia di Mambre), che annunciano a lui e alla moglie Sara l’arrivo di un figlio e, di seguito, il sacrificio di quello stesso figlio, Isacco; dall’altro, specularmente, il sacrificio di Abele e Melchisedec. Anche l’imperatrice Teodora (avvolta in un damasco impreziosito da gemme e madreperle) e l’imperatore Giustiniano, con le loro rispettive offerte (oblatio Augusti et Augustae), partecipano al banchetto santo: le effigi dei due regnanti (che, a proposito, mai visitarono Ravenna!), recanti in mano rispettivamente un calice d’oro e una patera, concorrono a rendere corale e quasi curtense il momento dell’Eucarestia in San Vitale, laddove entrambi vengono effigiati al centro del loro seguito, tra dignitari di corte ed ancelle. L’offerta terrena fa dunque da contraltare a quella eucaristica. Il vertice escatologico è però rappresentato dall’Agnus Dei che campeggia alla sommità della volta a crociera (allo zenith del punto in cui l’ostia viene elevata), a guisa di coronamento mistico del sacrificio che si consuma sulla mensa. La Teofania (apparizione del divino) del catino absidale rappresenta il fulcro cultuale e dogmatico dell’intero programma iconografico, laddove un Cristo-Imperatore imberbe (secondo l’uso orientale), abbigliato di porpora e oro (colori imperiali bizantini) e incorniciato dal nimbo crucisignato è assiso sul globo celeste e reca in mano il rotulo della legge e la corona del martirio, che porge a san Vitale; il santo titolare (miles Christi qui riconoscibile dalla clamide) viene colto nell’atto di ricevere la corona con deferenza (mani velate). A chiudere la scena, unitamente ai due arcangeli Michele e Gabriele, si scorge Ecclesio, che offre il modello del tempio, da lui stesso voluto. Accanto alle scene di carattere narrativo o dogmatico, il visitatore resterà abbagliato dalla ricchezza dei dettagli zoomorfi e fitomorfi, di origine orientale e legati alla tradizione ellenistico-romana per la loro resa naturalistica, eppure anche strettamente correlati all’ambiente autoctono: ecco che allora, accanto ai simboli frequenti nella cristianità orientale come il pavone (Resurrezione), sarà possibile scorgere volatili e arbusti presenti nelle pinete e valli del ravennate, cosicché parrà quasi di rileggere in chiave bizantina l’ambientazione delle storie raccontate dal concittadino Pietro Guberti nel suo I Pinaroli (Longo Editore, 1982).
nascondiDi certo il visitatore non si aspetta di trovare tanta magnificenza in un’unica città. O in una basilica come questa, che all’aspetto esterno appare così semplice, discreta (pure arretrata rispetto alla strada, quasi per timidezza o eccessiva ritrosia avesse voluto fare un passo indietro). Eppure è così: Sant’Apollinare Nuovo si nasconde, arretra, si schermisce dietro un’aiuola, ma a chi la saprà trovare (quante volte i turisti chiedono ai ravennati dove è ubicata!) rivelerà un tesoro unico al mondo, a chi varcherà la sua soglia mostrerà la sua vera anima, quella di scrigno che racchiude preziose gemme e oro.
La basilica di Sant’Apollinare Nuovo si trova nel cuore del centro storico di Ravenna; da non confondere con Sant’Apollinare in Classe, è situata sulla via di Roma ed è uno dei monumenti prediletti dal turista. Attraverso l’adiacente chiostro si giunge ad ammirare un gioiello unico al mondo. Nonostante la perdita dei mosaici dell’abside (distrutti tra VIIe VIII secolo), oggi il visitatore che varca la soglia di Sant’Apollinare Nuovo rimane senza respiro: le pareti laterali sono interamente coperte di tessere sfavillanti, disposte ad inclinazione diversa l’una dall’altra, per rendere la luce vibrante. Fu eretta da Teodorico, re dei Goti, tra il 493 e il 526, quale basilica palatina. Nonostante l’origine cultuale ariana, la decorazione musiva interna testimonia due fasi esecutive:attorno al 561, dopo la cacciata dei Goti dalla città,la chiesa fu convertita all’ortodossia cattolica (Editto di Giustiniano) e intitolata al vescovo di Tours, divenendo San Martino «in Ciel d’oro» (per lo splendore del suo soffitto a cassettoni dorati). Da qui, la damnatio memoriae di alcuni personaggi della corte teodoriciana, abrasi dal Palatium che li incorniciava per essere sostituiti da tende; ancora oggi questa rimozione è testimoniata da alcuni lacerti musivi (resti di mani). La basilica acquisì il titolo di «Sant’Apollinare» solo a metà del secolo IX, allorché le reliquie del protovescovo furono qui traslate dall’omonimo tempio di Classe, non più sicuro a causa delle frequenti incursioni dei pirati; proprio per distinguersi dalla basilica suburbana, quella cittadina fu allora detta «Nuovo». Nella fascia musiva superiore troviamo momenti della vita di Cristo, alternati ad umbracoli decorativi, regale coronamento dei profeti sottostanti; le scene della parete sinistra rappresentano tredici parabole o miracoli, mentre quelle che si dipanano sulla parete opposta raffigurano episodi legati alla Passione o ad avvenimenti occorsi dopo la morte del Figlio. Il Salvatore è sempre caratterizzato dal pallio imperiale color porpora e oro, e dal nimbo crucisignato; ma la figura di Cristo è anche perfettamente riconoscibile grazie alla cosiddetta «prospettiva ideologica», secondo i cui canoni (che tanta fortuna hanno avuto dalla tarda-antichità al Medioevo) la dimensione dei personaggi era direttamente proporzionale alla loro sacralità. Mentre nelle scene della parete sinistra osserviamo un Cristo-puer, giovane e imberbe, nelle scene di destra l’azione si drammatizza e il Cristo viene rappresentato sempre barbato, simbolo di maturità e sofferenza umana; se l’iconografia del Cristo giovane è di origine orientale, la presenza della barba nelle scene di Passione nasce dalla cultura occidentale, laddove i Romani nelle ore del dolore usavano lasciarsi crescere la barba, in segno di lutto. Ma è la fascia inferiore quella che più ci colpisce, a partire dalle due sfarzose immagini della civitas Classis (rappresentata secondo lo schema già romano, detto «a volo d’uccello») e del Palatium, per continuare con le due processioni (realizzate dopo il 561) di martiri e vergini, che si fronteggiano cadenzate nella loro disposizione paratattica, silhouettes bidimensionali e scarnificate, a simboleggiare il loro essere soprattutto spirito; i volti dei santi e delle sante, privi di attributi iconografici caratterizzanti, sono rappresentati secondo quella tipica isotipia bizantina, che sarà tanto cara anche ad artisti moderni, come il pittore quattrocentesco Piero della Francesca. Le due teorie di martiri e vergini avanzano con un incedere cantilenante e ritmico, quasi musicale; si dirigono verso un Cristo assiso in trono e, sul lato opposto, una Vergine Theotókos (Madre di Dio), sempre in Maestà, di fronte alla quale i tre re Magi si inginocchiano nel rituale della proskynesis, tipico delle corti bizantine e normalmente riservato agli imperatori.
nascondiIl mausoleo di Galla Placidia e la basilica di San Vitale sono alleati e rivali al tempo stesso: San Vitale consola i visitatori che escono da Galla Placidia ancora non paghi di tanta bellezza, e sembra quasi dir loro di non disperare, perché il bello deve ancora venire; Galla Placidia consola i visitatori che escono da San Vitale ancora non paghi di tanta bellezza, e sembra quasi dir loro di non disperare, perché il bello deve ancora venire. Da che parte sta la ragione, dunque? Chi di loro mente? La verità è dalla parte di entrambi, così come la Bellezza.
Nessuno dei due monumenti si visita: entrambi si esperiscono, entrambi ti ammutoliscono. Sia i muri di Galla Placidia che di San Vitale, con i loro mosaici, sono patrimonio UNESCO; eppure, dovrebbe esserlo anche il loro silenzio, quella calda carezza spirituale che avvolge il visitatore sin dal primo momento. A Galla Placidia e San Vitale non si entra così e basta: ci si affaccia dapprima timidamente, quasi facendo capolino con la testa; poi, una volta acquisita una certa sicurezza (quasi una voce fuori campo ci avesse sussurrato OK, PUOI ENTRARE) il limes viene varcato, la soglia oltrepassata.
Ed è allora che si intravede il Paradiso.A pochi passi da San Vitale, all’ombra di quell’immenso platano centenario che in autunno si colora d’oro (proprio come i mosaici che accarezza ogni giorno con i suoi rami), si trova un autentico «scrigno», la cui porta rappresenta una sorta di breccia che collega Terra e Cielo: il mausoleo di Galla Placidia. L’orditura architettonica dell’edificio, spartana e semplice, in contrasto con lo sfarzo delle decorazioni interne (realizzate da un raffinato pictor imaginarius), intende evocare il vivere del buon cristiano, semplice nell’apparenza esterna e ricco nell’anima. Entrare nel mausoleo di Galla Placidia è come varcare la soglia dell’aldilà, l’anticamera del Paradiso; quel Paradiso che in epoca medievale l’abate Suger (1081-1151), studioso della filosofia neoplatonica, auspicava per le sue cattedrali (a partire da quello che fu il suo «esperimento gotico», Saint Denis): la luce divina deve riflettersi nel preziosismo terreno dei materiali, nella loro levigatezza, così da far pregustare in terra l’oro di Dio, spirito puro, liberato dalla materia corruttibile. Mano a mano che si ascende, ci si libera della materia e si fa esperienza di luce-spirito, leggera, evanescente, scarnificata. Eppure, il mausoleo di Galla Placidia (così come San Vitale e tutti i monumenti UNESCO di Ravenna), ha messo in opera le riflessioni di Suger almeno sei secoli prima. Edificato a metà del V secolo quale terminazione del nartece della chiesa di Santa Croce (da cui fu separato nel 1602), il mausoleo avrebbe dovuto ospitare le spoglie mortali di Galla Placidia; figlia di Teodosio il Grande, sorella di Onorio e madre del giovanissimo Valentiano III, ella fu governante reggente in luogo del figlio, a cui era stato affidato il governo dell’Impero Romano d’Occidente. In realtà, Galla, che morì nel 450, fu sepolta non a Ravenna bensì a Roma, probabilmente nella tomba di famiglia. Dato l’impianto dell’edificio, cruciforme, e la destinazione originaria, non è difficile riconoscere nel programma iconografico interno un unico ed epifanico messaggio: il trionfo della Croce sulla morte. La decorazione si articola in molteplici scene, da leggere in senso ascensionale; nei pennacchi della cupola sono effigiati i quattro zodia o esseri viventi simboleggianti gli evangelisti, i banditori del Logos ai quattro angoli del mondo: il leone (san Marco), il vitello (san Luca), l’uomo (san Matteo), l’aquila (san Giovanni); nei lunettoni a sostegno della cupola compaiono gli Apostoli disposti a coppie, i quali elevano la mano acclamante verso l’alto, la Crux sancta et invicta che corona la cupola, circondata da decine di stelle e rivolta ad Est, perché da Oriente Cristo verrà per risorgere i morti. La Croce ritorna altre due volte nel mausoleo: nella lunetta che sormonta la porta di accesso, con il Buon Pastore tra le pecore e, in corrispondenza, nella lunetta con san Lorenzo che si dirige al martirio, portando la Croce, simbolo della vittoria escatologica della Fede e della Parola (i quattro vangeli contenuti nell’armadio) sulle cose del mondo; a san Lorenzo si ritiene che fosse infatti intitolato il sacello in origine. Un altro elemento ricorrente è il tema dell’acqua come fonte di vita: tra ogni coppia di apostoli sono rappresentate colombe che si abbeverano a cantharoi da cui zampilla acqua; analogamente, nelle due lunette ad est ed ovest si ammirano coppie di eleganti cervi che, sullo sfondo di tralci d’acanto, si abbeverano ad un laghetto, secondo i versi del salmo XLII: «Come il cervo si abbevera alla fonte, così la mia anima anela a te, o mio Dio».
nascondiNell’uscire dal grazioso giardino del Battistero degli Ortodossi, non dimenticate di svoltare a destra e di percorrere il monumentale scalone che noterete subito, di fianco al bookshop. Non immaginerete che cosa vi aspetta: una preziosa matrioska di Bellezza. Il Bello nel Bello. Che cosa aspettate a salire?
Una visita ai monumenti UNESCO di Ravenna non potrà dirsi completa senza avere visitato la piccola cappella di Sant’Andrea, perla«nascosta» all’interno del Museo Arcivescovile; il sacello rappresenta l’unico esempio di cappella arcivescovile paleocristiana giunta integra sino a noi, oltre ad essere l’unico edificio di culto ortodosso edificato durante l’arianesimo teodoriciano. Il Museo Arcivescovile, disposto su due piani, racchiude opere ascrivibili a più momenti storico-artistici della città, dall’antichità all’epoca «moderna»; la cappella di Sant’Andrea si trova al piano primo del museo. I mosaici della cappella si ascrivono all’epoca del vescovo Pietro II (494-519), in pieno periodo teodoriciano, all’epoca della coesistenza a Ravenna di due confessioni religiose: quella ariana e quella ortodossa (cattolica). Il sacello divenne parte integrante del museo, allorché nei primi decenni del secolo XVIII il vescovo Maffeo Nicolò Farsetti (1727-1741), dopo aver demolito e ricostruito la basilica Ursiana, decise di raccogliere in un luogo apposito i mosaici, le lapidi, le epigrafi e i capitelli che in essa erano conservati. Oggi, tra i numerosi pezzi di pregio del museo, troviamo la Cattedra eburnea di Massimiano, l’ambone proveniente dalla chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, una statua tardo-antica acefala, clamidata, in porfido (probabilmente raffigurante un imperatore, di incerta identificazione), un calendario pasquale in marmo del VI secolo, la Croce in argento del vescovo Agnello (VI secolo), i mosaici dell’abside dell’antica cattedrale Ursiana, una pianeta del X secolo e alcune pale d’altare di epoca «moderna». Il vano del vero e proprio oratorio è preceduto da un vestibolo rettangolare coperto da una volta a botte, decorata da un pergolato (mosaico e tempera) e popolato di numerose specie di volatili, alcuni dei quali di sapore esotico, altri appartenenti alla fauna delle vicine valli e pinete: colombe, pernici, anatre, pappagalli, piccoli pavoni, ecc. Come in San Vitale, anche qui i mosaici si caratterizzano per questo perfetto «pattinare» tra la dimensione documentaristica, filologica e naturalistica (in una parola: scientifica) e quella più visionaria, onirica e fantastica, che ripropone e reinterpreta, trasfigurandole, le formule e le cromie di un Oriente lontano e vagheggiato, prezioso e ieratico. L’iscrizione Aut Lux his nata est aut capta hic libera regnat (O la luce è nata qui, o, fatta prigioniera, qui libera regna) allude probabilmente alla luce neoplatonica e ortodossa al tempo stesso (in contrasto con l’arianesimo), magistralmente rievocata dal fulgore delle tessere musive. Sulla porta di ingresso al vestibolo campeggia un Cristo-guerriero perfettamente frontale, colto nell’atto di calpestare il leone e il serpente (il Male, rappresentato dall’arianesimo), e vestito con clamide color porpora e corazza; il Salvatore tiene sulla spalla destra una lunga croce, mentre con la sinistra regge la Parola, dove si legge: Ego sum via, veritas et vita. Si tratta dunque, nel complesso di un’allusione all’Ecclesia militans, probabilmente in riferimento all’eresia ariana, che negava la consustanzialità tra Padre e Figlio. Entrando nella cappella vera e propria, ci si trova invece di fronte ad un diverso programma iconografico, perlopiù incentrato sul concetto di Ecclesia triumphans: il monogramma di Cristo viene infatti rappresentato alla sommità della volta a crociera, ed è sostenuto da quattro angeli-vittorie alate; tra di loro, si riconoscono i simboli dei quattro Evangelisti, recanti ciascuno un codex gemmato. La volta a crociera è sostenuta da quattro archi, nei cui intradossi compaiono le immagini clipeate dei martiri e degli apostoli, al cui centro spicca quella del Cristo giovane e imberbe; anche questo santorale clipeato sottolinea l’ortodossia cattolica del sacello, in quanto gli Ariani non veneravano i santi. Nel complesso, dunque, tutto il programma decorativo della cappella è proteso alla glorificazione di Cristo-Salvatore e all’affermazione della consustanzialità tra Padre e Figlio, in contrapposizione all’eresia ariana.
nascondiDi fianco al Duomo, quasi a raccordo tra le piazze Duomo e Arcivescovado, si ammira il battistero degli Ortodossi (o Neoniano), nel cuore di un piccolo giardino ben curato, che molti cittadini amano attraversare a piedi anche solo per la semplice gioia degli occhi.
Entrando nel battistero Neoniano, di forma ottagonale, vi troverete di fronte ad un unicum, per ciò che concerne l’arte paleocristiana e bizantina: si tratta, infatti, dell’edificio battesimale meglio conservato al mondo, sia per la struttura architettonica che per l’interno (marmi, stucchi e mosaici). Dei più antichi battisteri, realizzati tra i secoli IV e V ad Antiochia, Costantinopoli, Efeso, Treviri, Milano, Aquileia e Roma, sopravvivono infatti solo i muri perimetrali o solo la pianta. Attorno alla metà del secolo V, il vescovo Neone (450-475) decise di rifare la copertura del battistero della Cattedrale, che il vescovo Orso aveva eretto qualche decennio prima (da qui il nome di basilica Ursiana, poi ricostruita nel Settecento). Come di consuetudine, il programma iconografico è da leggersi in una direzione ascensionale e trova il suo massimo compimento nella cupola, tripartita in fasce che sembrano ruote girevoli, il cui perno è il clipeo centrale con la scena del Battesimo. La fascia-ruota inferiore (quella più esterna) è scandita in otto parti, in cui si alternano seggi vuoti (quelli dell’Etimasia, a preparazione del trono di Dio per il Giorno del Giudizio) incorniciati da viridari (giardini celesti) e altari, sui quali è deposto un Vangelo. Nella fascia mediana possiamo invece scorgere gli apostoli (abbigliati di tunica e pallio) che, con le mani velate in segno di deferenza, recano corone; guidati dai duces Pietro e Paolo («colonne» della Chiesa); essi incedono ieratici, a passo cadenzato, musicale, in una lenta rotazione; la corona è simbolo di trionfo, quale offerta dell’aurum coronarium che i vinti portavano ai vincitori ai tempi dei Romani. Perno della decorazione è il clipeo centrale con la scena del Battesimo, dove possiamo scorgere il Salvatore, san Giovanni Battista e la personificazione del fiume Giordano come vegliardo che emerge dalle acque tenendo in mano una verde canna palustre e nell’altra un drappo (con il quale Cristo si asciugherà); il Battista reca in mano una pàtera, anche se in origine doveva certamente poggiare la mano direttamente sulla testa di Cristo, come si usava fare (impositio manus). L’inserimento più tardo della pàtera è testimoniato dal colore più chiaro delle tessere. Nella decorazione parietale sottostante la cupola, nei pennacchi e negli archi sopra le trifore, si scorgono elementi decorativi vegetali e zoomorfi, tra cui cantharoi dai quali nascono tralci vitinei, girali d’acanto e pavoni, tutti simbolo di vita eterna e Grazia divina redentrice e salvifica.
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